Evidenze scientifiche hanno dimostrato la correlazione tra la malattia di Parkinson, l'Alzheimer e altre forme di demenza.
Parkinson e Alzheimer sono due malattie che compromettono la funzionalità cerebrale in età geriatrica, comporta una progressiva incapacità a riconoscere gli oggetti e la loro funzione, i luoghi familiari, gli amici e conoscenti. Hanno in comune l'età avanzata, disturbi precoci dell’equilibrio, che sono tutti fattori di rischio che espongono i pazienti alla demenza.
Sappiamo, per esempio, che si tratta di una malattia complessa, quasi sempre correlata all’età e associata con una deficienza di dopamina. Si manifesta con segni e sintomi distintivi come la bradicinesia (ovvero rallentamento e limitazione dei movimenti), la rigidità muscolare, il tremore a riposo e compromissione dell’equilibrio.
Ci sono però anche altri segni come la perdita dell’olfatto, alterazioni del sonno, costipazione, depressione e ansia e deboli deficit cognitivi . Sappiamo anche che la malattia può dipendere dall’effetto combinato di fattori genetici e ambientali come, ad esempio, le sostanze chimiche tossiche (pesticidi e metalli pesanti) e sappiamo che alcuni stili di vita possono ridurre il rischio (buone pratiche igieniche, attività fisica e una dieta sana, ricca di frutta e verdura), indicando in queste buone pratiche un approccio per la prevenzione della malattia e un complemento non-farmacologico alla sua gestione.
La malattia di Alzheimer rappresenta la causa più comune di deficit cognitivo o demenza negli individui sopra i 65 anni di età. Nella malattia di Alzheimer si osserva l’accumulo a livello cerebrale di particolari proteine, come la proteina A e la proteina tau, che esercitano un effetto tossico sui neuroni, e vi è anche un deficit del neurotrasmettitore acetilcolina, conseguente all’atrofia e alla degenerazione di neuroni colinergici sottocorticali.
Sono state identificate anche disfunzioni genetiche, responsabili per le forme di malattia a trasmissione autosomica dominante (insomma per l’ereditarietà della patologia) a esordio precoce, altre dette “di suscettibilità” perché non sono la causa scatenante ma aumentano il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.
La malattia evolve secondo tre stadi principali: uno stadio cosiddetto “preclinico” nel quale si accumulano proteine A e tau ma senza sintomi evidenti. Un secondo stadio caratterizzato da perdita di memoria episodica e denominato di “lieve compromissione cognitiva” che ancora non pregiudica lo svolgimento delle normali funzioni giornaliere. Un terzo stadio in cui le capacità funzionali sono progressivamente perdute fino allo “stadio di demenza”.
Nuovi sistemi di diagnostica
Uno studio congiunto tra Istituto Superiore di Sanità, IRCCS San Raffaele Roma e CNR- Istituto di Farmacologia Traslazionale ha permesso di mettere a punto un nuovo sistema per diagnosticare la Malattia di Alzheimer e il Morbo di Parkinson. La nuova metodica si basa sulla conversione chimica diretta di fibroblasti della pelle dei pazienti in neuroni umani, senza ricorrere ad approcci transgenici, per la ricerca di marcatori di patologia.
Secondo gli studi più recenti, pur interessando parti del cervello diverse, la malattia di Parkinson e l’Alzheimer potrebbero essere molto simili dal punto di vista biochimico. Inoltre, come l’Alzheimer anche il Parkinson causa disturbi del comportamento e perdita della memoria. “Generalmente i sintomi d’esordio dell’Alzheimer sono rappresentati da disturbo della memoria, del linguaggio e disorientamento spazio-temporale. Le forme correlabili al Parkinson e Parkinsonismi presentano invece all’inizio deficit dell’attenzione, delle capacità di calcolo, disturbi visuopaziali, per esempio difficoltà di copia di un disegno o disegnare un orologio, difficoltà di programmazione motoria e rallentamento dei movimenti. I pazienti possono avere allucinazioni e in alcuni casi cambiamenti del carattere, apatia e disinibizione" dice il dott Sacilotto.
La prevalenza della demenza in generale nei pazienti affetti da malattia di Parkinson oltre i 65 anni è di circa il 30%. Alcuni parkinsoniani possono presentare in realtà una malattia a corpi di Lewy, una tipologia di demenza tra le più diffuse. Quest’ultima ha uno stretto legame con il Parkinson, essendo entrambe malattie associate all’accumulo intraneuronale di una proteina di scarto detta alfasinucleina. “Altre forme di demenza – aggiunge il referente del CDCD dell’ASST Gaetano Pini-CTO –, in particolare la paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e la degenerazione cortico-basale (CBD), presentano anch’esse dei sintomi parkinsoniani e sono legate all’accumulo anomalo cerebrale di un’altra proteina strutturale del neurone, detta proteina TAU. Tale proteina, iperfosforilata, è d'altra parte presente anche nel tessuto cerebrale dei malati di Alzherimer all'interno di depositi di proteine dette grovigli neurofibrillari. Recentemente la sperimentazione dei farmaci per la cura della malattia di Alzheimer si sta prorpio concentrando sull'impiego di anticorpi monoclonali anti-TAU che ne bloccano l'accumulo.
Su 684 pazienti con disturbi cognitivi con una età media di 76 anni in cura al CDCD dell’ASST Gaetano Pini-CTO negli ultimi 5 anni il 38,33% presentava una un demenza associata al Parkinson (PDD) od una Malattia a Corpi di Lewy Diffusi (LBD); il 27,81% erano paralisi sopranucleare progressiva (PSP); il 23,63% malattia di Alzheimer; il 7,93% degenerazione cortico-basale (CBD); 2,31% demenza frontotemporale (FTD). “L’elevata casistica delle Taupatie – sottolinea il dott. Sacilotto – ovvero quelle patologie neurodegenerative proteino-correlate che presentano un anomalo metabolismo della Proteina Tau, in particolare la paralisi sopranucleare progressiva e la degenerazione cortico-basale, di cui risultano circa 250 pazienti nel nostro database nell’ultimo quinquennio, consentono al nostro centro di essere in prima linea per la possibilità di sperimentare nuove terapie (cellule staminali, anticorpi monoclonali anti-TAU). Partecipiamo, inoltre, a studi volti alla individuazione di marker per la diagnosi precoce della malattia a corpi di Lewy, grazie alle tecniche per l’individuazione dell’alfasinucleina nella cute dei malati di Parkinson oltre a disporre di una banca dei tessuti nervosi e del DNA per conoscere più a fondo i meccanismi che ne sono alla base”.