SLA: nuova terapia in grado di ridurre la progressione in fase di studio.


SLA: nuova terapia in grado di ridurre la progressione in fase di studio.

In uno studio internazionale pubblicato sul New England Journal of Medicine, l'uso di Tofersen ha dimostrato un rallentamento ed in alcuni casi un’inversione della progressione clinica della Sla nei soggetti portatori della mutazione nel gene Sod1

Il New England Journal of Medicine ha pubblicato i risultati dello studio internazionale sul Tofersen, che ha dimostrato un rallentamento ed in alcuni casi addirittura un’inversione della progressione clinica della terribile malattia. Si accende così la speranza per la comunità dei pazienti con la SLA, appesi ai progressi dei vari studi mondiali e solo la ricerca sulle cause e i sui  meccanismi della malattia rappresenta l’unica via per arrivare ad individuare una terapia efficace. 

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia degenerativa caratterizzata una paralisi progressiva di tutta la muscolatura scheletrica con conseguente immobilità degli arti, blocco della parola e della deglutizione e, infine, perdita del respiro. Ai devastanti effetti sul corpo si aggiungono le conseguenze sugli aspetti sociali, economici, psicologici che si abbattono sull’ammalato e su tutto il gruppo familiare. Attualmente non esiste una cura per questa patologia, che conduce generalmente nell’arco di pochi anni alla morte. Questa scoperta assume così un duplice aspetto: diventa un importante passo verso una terapia genica e contestualmente accende la luce di speranza per tutti i malati di SLA.

Questo approccio sperimentale dovrà essere testato su altri modelli cellulari, in particolare su cellule nervose motorie, e cioè sulle cellule interessate direttamente dalla patologia, prima di poter essere utilizzato sulle persone, ma questi risultati pongono le basi per una possibile terapia genica per la cura della SLA causata da questa mutazione di TDP-43.

Lo studio e i risultati

Nel luglio 2020 è stato pubblicato sul NEJM uno studio sull’uso del Tofersen (noto anche come BIIB067), un oligonucleotide antisenso in grado di legarsi specificamente all’RNA messaggero di SOD1, come possibile trattamento per le persone affette da SLA con mutazioni nel gene SOD1 (Miller et al.).

È uno studio condotto su un piccolo numero (108) persone con SLA da mutazione SOD1. La dose di 100 mg ha determinato una riduzione significativa della concentrazione della proteina tossica nel liquor e l’analisi del decorso clinico, effettuato mediante scale standard, ha mostrato una differenza tra placebo e pazienti che hanno ricevuto il farmaco.

La differenza era molto marcata nel sottogruppo di ammalati con una mutazione associata a una forma aggressiva di malattia (fast progressors). In questo gruppo, in chi ha ricevuto il farmaco la scala ALS-FRS è rimasta invariata a 85 giorni e la misurazione della respirazione ha mostrato una perdita media di 5 punti percentuali a fronte di un caduta severa dei valori nelle persone che hanno ricevuto placebo.

Nonostante il piccolo numero di pazienti incluso nello studio e il breve follow-up impongano una necessaria cautela nel fare considerazioni conclusive, i dati pubblicati appaiono di straordinaria importanza.

Innanzitutto per la prima volta si utilizza un farmaco con un razionale molto solido in un contesto di medicina di precisione: la causa (mutazione SOD1) e il meccanismo patogenetico (effetto tossico della proteina mutata) non sono ipotesi ma evidenze dimostrate. Inoltre l’effetto clinico osservato appare rilevante perché le forme di SLA a rapida progressione da mutazione SOD1 hanno un decorso stereotipato, invariabilmente molto aggressivo

Entro pochissimi mesi avremo il risultato del secondo studio attualmente in corso e in questa previsione pochi giorni fa è stato avviato il programma di accesso a tale terapia che si svolgerà tra luglio e novembre in due tappe, dando priorità agli ammalati con forme rapidamente progressive.

Anche se, va ribadito ancora una volta con chiarezza, non vi è ancora certezza dei risultati e la terapia potrà interessare solo il 2% delle persone con SLA, cioè quelli con mutazione del gene SOD1, questo è un momento importante nella storia di questa malattia nella speranza che un primo successo possa determinare una sorta di effetto a cascata sulla ricerca di altri farmaci.

Sebbene il farmaco non abbia raggiunto l’obiettivo primario dello studio (una variazione, alla ventottesima settimana, del punteggio dell’Als Functional Rating Scale-Revised, la scala di valutazione funzionale più usata nei protocolli terapeutici della Sla), i risultati, soprattutto a un anno dalla somministrazione, sembrano essere promettenti: i ricercatori hanno riscontrato una riduzione della quantità di enzima difettoso nel liquido cerebrospinale, una riduzione del livello delle molecole indicanti la neurodegenerazione e il rallentamento del declino della funzione clinica, della funzione respiratoria, della forza muscolare e della qualità della vita dei pazienti.

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